Onorevoli Colleghi! - Il tema della riforma della politica non può essere separato dalla condizione generale del Paese e dalla crescita di disuguaglianze e di privilegi da parte di una precisa classe: gli imprenditori, i dirigenti top level pubblici e privati, i banchieri, i finanzieri, il giornalismo degli opinionisti da prima pagina, il mondo dello spettacolo e dello sport professionistico. L'insieme di questo mondo privilegiato non solo ha visto crescere in maniera esponenziale i propri profitti e i propri emolumenti ma gode, per la gran parte, di un regime fiscale di assoluto privilegio. Si è verificato un accrescimento esponenziale delle ricchezze

 

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mentre l'insieme del mondo del lavoro ha perso posizioni nel potere di acquisto e il Paese intero è arretrato. Un aumento esponenziale, quindi, delle disuguaglianze come mai si è visto in questi ultimi decenni.
      Milioni di lavoratori dipendenti e di pensionati hanno visto ridotto il potere di acquisto delle loro retribuzioni, hanno perso i meccanismi automatici di adeguamento alla crescita reale del costo della vita, vedono tassati i loro modesti aumenti contrattuali, che spesso costano ore di sciopero, all'aliquota fiscale più alta, addirittura subiscono un'ulteriore erosione del loro reddito attraverso il meccanismo perverso del fiscal drag.
      Imprenditori e grandi manager, al contrario, hanno aumentato i loro redditi e, oltretutto, godono per gli incrementi dei propri emolumenti di regimi fiscali separati, in cui vi è un prelievo del 12,5 per cento, inferiore di oltre la metà a quello di lavori dipendenti e pensionati e ridotto del 50 per cento rispetto alla media europea. Quando si parla di tassare le rendite finanziarie e i guadagni speculativi almeno quanto avviene in Europa, parliamo precisamente di intervenire per eliminare questa intollerabile condizione di privilegio. Di questi temi il gruppo parlamentare Rifondazione comunista-Sinistra europea si occupa da dieci anni e non sente quindi il peso di una conversione tardiva alla riduzione dei costi della politica e della pubblica amministrazione: a tal proposito basti ricordare la nostra proposta di legge della XIII legislatura (atto Camera n. 6288).
      Risulta, in questo contesto, veramente incredibile che siano proprio i rappresentanti di questa classe privilegiata e favorita coloro i quali si ergono a paladini della moralizzazione e della buona politica. Il tema dei costi della politica non può essere separato, inoltre, da quello del rapporto perverso tra affari e politica che rappresenta un peso insopportabile. I dati dell'ultimo rapporto internazionale sulla corruzione nel mondo parlano assai chiaro. L'Italia è al 41o posto nel mondo per la corruzione nel settore pubblico. Lo studio di Trasparency International, che investe 180 Paesi in tutto il mondo, vede quest'anno al primo posto la Danimarca, la Finlandia e la Nuova Zelanda con 9,4 punti. Vi è una stretta correlazione tra la corruzione e la povertà: il 40 per cento delle nazioni che hanno un voto inferiore a 3 risulta infatti essere estremamente povero. È calcolato che ogni punto in meno di 10 nella classifica della trasparenza (l'Italia ha solo 5,2 punti) corrisponde al 16 per cento in meno degli investimenti stranieri con conseguenze disastrose su prodotto interno lordo (PIL) e occupazione. La corruzione ha un costo insopportabile per il sistema Paese: autorevoli fonti stimano infatti che il 2,5 per cento del nostro PIL finisca in tangenti ed è possibile quantificare il danno provocato dalla corruzione nell'ordine di grandezza di 70 miliardi di euro. Il settore degli approvvigionamenti della pubblica amministrazione risulta essere uno dei settori più corrotti e sempre Trasparency International calcola che interessi il 20-22 per cento del volume totale degli acquisti. Poco indagati e pubblicizzati sono i dati sulla corruzione interna alle aziende private, a partire dalle grandi multinazionali che operano in Italia, e su quella diffusa nei punti sensibili delle vendite e degli approvvigionamenti.
      Affermiamo tuttavia la più netta contrarietà ad affrontare il tema attraverso il taglio dei livelli più decentrati della partecipazione: i consigli circoscrizionali, i consigli municipali, i consigli comunali. La questione, invece, consiste nel non separare, come fa ipocritamente una gran parte dei mezzi di informazione che alimentano la campagna dell'antipolitica, i costi enormi scaricati sulla collettività dal rapporto tra affari e politica e dalla corruzione, dal peso crescente sui bilanci pubblici, dai costi indotti dall'impiego di consulenze esterne e dalle cosiddette «esternalizzazioni», nonché dalla zavorra rappresentata dal proliferare di enti istituzionali di secondo livello (ognuno con consiglio di amministrazione e collegio sindacale).
      Giuste queste premesse, abbiamo costruito una proposta di legge che si
 

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occupasse globalmente del problema, consapevoli del fatto che alcune norme non sono di competenza del Parlamento, ma delle assemblee legislative regionali o delle province autonome. Stiamo a tal proposito sollecitando un impegno coerente anche in quelle sedi dei rappresentanti di Rifondazione comunista-Sinistra europea e della sinistra tutta. Nel dettaglio la presente proposta di legge si ripartisce in quattro capi: le norme sugli organi delle società pubbliche e sui contratti di assicurazione degli enti pubblici; le norme sulla composizione numerica del Governo; le norme sugli enti locali e sulle regioni; le norme sulla soppressione di enti e autorità.
      Il taglio ai costi impropri della politica e della pubblica amministrazione deve cominciare dal trattamento economico di coloro che a qualsiasi titolo ricevano un munus dalla pubblica amministrazione. Poiché non siamo adusi ad una propaganda demagogica vogliamo intervenire con una proposta di legge ad hoc: in essa vogliamo fissare il limite massimo di retribuzione per tutti i dipendenti della pubblica amministrazione pari a dieci volte la media della retribuzione di un assunto nella pubblica amministrazione a tempo pieno e indeterminato con il livello più basso. Così facendo operiamo in una duplice direzione: quella perequativa, giacché omogeneizziamo il parametro della remunerazione in tutta le pubblica amministrazione, e quella semplificativa, giacché è semplificata e resa di dominio pubblico la remunerazione del singolo pubblico dipendente o eletto. Occorre intervenire sui costi della politica istituzionale, del sottogoverno, degli sprechi e delle spese clientelari ma salvaguardare il carattere pluralistico, democratico, proporzionale, decentrato e partecipativo del nostro sistema costituzionale. Ecco perché i tagli dimensionali possono riguardare gli apparati esecutivi di primo e di secondo livello ma non le assemblee rappresentative e i consigli.
      A fronte di una riduzione corposa della composizione numerica parlamentare da noi sostenuta da varie legislature ed in questa, per mezzo del progetto di legge costituzionale atto Camera n. 2572, la nostra proposta di legge riduce in maniera significativa i componenti degli organi collegiali di tutte le società pubbliche e delle autorità indipendenti (articoli 1 e 19). Nondimeno viene ribassato il numero dei componenti degli organi di governo locale e nazionale, riprendendo lo spirito del decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 300, opera di Franco Bassanini, che ha riformato l'amministrazione governativa centrale e periferica in base ai princìpi contenuti nella legge 15 marzo 1997, n. 59. Il decreto legislativo n. 300 del 1999 aveva infatti approntato una riduzione della composizione del Consiglio dei ministri a dodici Ministeri, ma tale riduzione è stata superata proprio dalla maggioranza politica cui prendiamo parte, che ha erroneamente creato 101 posizioni di Governo. In forza degli articoli 3 e 4 la composizione numerica del Governo non può superare complessivamente le 60 unità delle quali: 16 relative ai Ministeri con portafoglio, 4 ai Ministri senza portafoglio, 40 relative alle posizioni di Sottosegretario di Stato, tra le quali 8 vice Ministri.
      L'articolo 6, nella medesima ratio normativa, restringe il numero dei componenti delle giunte comunali e provinciali fissando in un quarto il rapporto tra i consiglieri eletti direttamente dal popolo e gli assessori nominati dai sindaci e dai presidenti della provincia. Non intendiamo, invece, compromettere una relazione efficace e immediata tra elettori ed eletti, quindi riteniamo controproducente ridurre i consiglieri comunali e provinciali, il cui numero - per verità - era già stato ridimensionato con l'approvazione del testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali, di cui al decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267.
      La presente proposta di legge non si esime dal proporre una perequazione del sistema delle autonomie locali. Non ci sottraiamo quindi dal proporre una corposa riduzione delle comunità montane,
 

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evitando che fruiscano di questo status comuni privi di un'effettiva connessione con territori montuosi, con l'articolo 7, esattamente come all'articolo 8, non ci sottraiamo ad una riforma delle circoscrizioni del decentramento introducendo i municipi, per i comuni sopra i 200.000 abitanti, e confermando la possibilità di istituire le circoscrizioni per i comuni sopra i 100.000 abitanti e per i capoluoghi di provincia con popolazione superiore ai 50.000 abitanti. Vogliamo tuttavia depurare da scorie opportunistiche la passione politica, pertanto abbiamo accettato di ridurre la possibilità di godere dell'indennità e dello status di amministratore locale ai soli membri di organi comunali e municipali. L'abolizione delle indennità per i consiglieri circoscrizionali può consentire senza alcun aggravio finanziario il mantenimento della possibilità per i comuni superiori a 200.000 abitanti di istituire i municipi. Bisogna inoltre rimettere al centro il valore della responsabilità dell'eletto, del nominato o del dirigente pubblico nei confronti della collettività: per questo l'articolo 2 annulla tutte le assicurazioni riguardanti la responsabilità contabile e per danni cagionati allo Stato o ad altri enti pubblici. Si tratta parimenti di corroborare un giudizio meno influenzato possibile dalla burocrazia politica da parte della Corte dei conti, perciò l'articolo 11 sopprime la nomina dei componenti nominati da parte dei consigli regionali o dei consigli delle autonomie locali.
      I costi del sottogoverno locale e le spese di rappresentanza sono i meno comprensibili a una cittadinanza attenta al principio dell'articolo 97 della Costituzione, circa il buon andamento e l'imparzialità dell'amministrazione pubblica. Non possiamo quindi esimerci dall'abolire per questi enti, e ridurre per le regioni, la possibilità di acquistare o gestire sedi di rappresentanza in Paesi esteri (articoli 9-10).
      Abbiamo infine voluto imprimere una svolta alla pubblica amministrazione sopprimendo una serie di «enti inutili» e di autorità indipendenti che rappresentano doppioni di altri o svuotano il potere dei Ministri. Abbiamo conseguentemente proposto la soppressione di otto enti, segnatamente: l'Ente italiano montagna, l'Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici di lavori, servizi e forniture, la Commissione di vigilanza sui fondi pensione, l'Autorità per l'energia elettrica e il gas, il Centro nazionale per l'informatica nella pubblica amministrazione, la Commissione per l'accesso ai documenti amministrativi, l'Istituto per la vigilanza sulle assicurazioni private e di interesse collettivo, l'Istituto per la promozione industriale (articoli 12-18 e 21). Le autorità indipendenti rimaste in vita possono essere potenziate con un aumento del personale e delle professionalità, ma in questa proposta di legge riduciamo i componenti degli organi collegiali, rispettivamente dimezzandoli nell'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni e riducendoli a cinque nella Commissione di garanzia per la regolamentazione del diritto di sciopero.
 

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